I moduli esperienziali di Schmitt al servizio dell’Employer Branding

Quando il lavoro diventa esperienza
La scelta di candidarsi a un’offerta di lavoro non nasce solo dalla lettura di una job description, ma dal modo in cui un’azienda riesce a farsi percepire. Un’impressione, un’emozione o un’affinità possono determinare se quella relazione inizia oppure no. È lì che comincia a formarsi la relazione tra individuo e brand.
L’Employer Branding più efficace non comunica semplicemente cosa fa l’azienda, ma fa vivere ciò che rappresenta.
E questa è esattamente la logica alla base del marketing esperienziale teorizzato da Bernad Schmitt alla fine degli anni ’90: un approccio che sposta l’attenzione dal prodotto all’esperienza, dal dire al far vivere.
Schmitt individuò cinque dimensioni (o pilastri), i moduli strategici esperienziali (Strategic Experiential Modules – SEM) — attraverso cui le persone costruiscono la propria percezione di marca.
Oggi, questi moduli non servono solo per vendere prodotti o servizi, ma per dare forma all’esperienza del lavoro.
Dai prodotti alle persone: l’esperienza come leva di attrazione
Portare il modello di Schmitt nel mondo del lavoro significa immaginare ogni interazione — prima, durante e dopo l’ingresso in azienda — come parte di una stessa esperienza, continua e coerente.
Perché un brand o meglio una organizzazione non vive solo nella comunicazione, ma in tutto ciò che le persone vedono, sentono, fanno e condividono.
1. SENSE – L’esperienza sensoriale del brand
Secondo Schmitt, le esperienze sensoriali sono il primo livello di contatto emotivo e cognitivo tra una persona e un brand.
Nel suo modello, il pilastro SENSE comprende tutte le esperienze che stimolano i cinque sensi, vista, udito, tatto, olfatto e gusto con l’obiettivo di creare piacere estetico, curiosità e coinvolgimento percettivo.
Il principio è semplice ma potente: prima di pensare o sentire qualcosa, le persone percepiscono. E quella percezione forma la base della relazione.
Applicato al mondo del lavoro, questo significa che l’esperienza di un (potenziale) employer inizia ben prima del primo colloquio.
Parte innanzitutto dalle modalità con cui l’azienda si presenta e si fa riconoscere. Ogni elemento, il design degli spazi di lavoro, i colori della career page, la qualità delle immagini sui social, il modo in cui è girato un video, persino la musica o la voce narrante, contribuisce a costruire un’impressione sensoriale coerente o dissonante.
Un Employer Brand coerente anche sul piano visivo e percettivo trasmette cura, ordine e autenticità.
Non è un fatto estetico, ma psicologico: secondo Schmitt, gli stimoli sensoriali influenzano direttamente le emozioni e anticipano il giudizio razionale.
Quando i sensi percepiscono coerenza, armonia e qualità, il cervello costruisce un’idea di fiducia; quando percepiscono confusione o artificiosità, subentra diffidenza.
SENSE e Employer Branding
Nel contesto dell’Employer Branding, il SENSE può manifestarsi in molti modi:
- Spazi fisici: ambienti luminosi, materiali caldi, attenzione al comfort acustico e visivo. L’architettura diventa un messaggio tangibile della cultura aziendale;
- Esperienza digitale: un career site intuitivo e curato, con una palette coerente e immagini autentiche, comunica professionalità e attenzione al dettaglio;
- Comunicazione visiva e audiovisiva: fotografie non patinate ma reali, colori coerenti con il tono del brand, video con audio chiaro e ritmo naturale:
- Oggetti e materiali: dal welcome kit al badge aziendale, ogni elemento tattile contribuisce a dare concretezza all’esperienza.
Come progettare l’esperienza SENSE
Quando questi stimoli si integrano, creano una firma sensoriale del brand. Un insieme riconoscibile di forme, suoni, colori e sensazioni che rappresentano l’identità aziendale anche in assenza di parole.
È ciò che Schmitt chiama “design dell’esperienza”: la capacità di orchestrare sensazioni coerenti che, nel tempo, diventano memoria.
In un mercato in cui i candidati vivono decine di interazioni digitali al giorno, curare il livello SENSE significa differenziarsi per immediatezza e autenticità percettiva.
Non si tratta solo di “essere belli da vedere”, ma di trasmettere attraverso i sensi ciò che l’azienda è davvero: ordine, innovazione, calore, energia o concretezza.
Perché prima che le persone ascoltino ciò che dici, sentono chi sei.
Anche per i collaboratori già presenti, la coerenza sensoriale continua a essere fondamentale. Gli ambienti di lavoro, le piattaforme digitali interne all’organizzazione e la cura dei dettagli visivi o tattili (intranet, materiali formativi, spazi condivisi) rafforzano il senso di identità e continuità tra ciò che l’azienda comunica all’esterno e ciò che si vive quotidianamente all’interno.
2. FEEL – L’esperienza emotiva del brand
Dopo la percezione sensoriale, il secondo livello individuato da Schmitt è quello emotivo.
Nel suo modello, il modulo FEEL comprende tutte le esperienze che mirano a stimolare sentimenti ed emozioni interiori – dalla gioia alla fiducia, dalla fierezza all’empatia – generando un legame affettivo tra persona e brand.
Se SENSE parla ai sensi, FEEL parla al cuore.
In un contesto come l’Employer Branding, questo livello è decisivo: perché le persone non scelgono solo dove lavorare, ma come vogliono sentirsi mentre lo fanno.
Secondo Schmitt, le emozioni non sono un effetto collaterale della comunicazione, ma il suo obiettivo strategico.
Un brand che suscita emozioni coerenti e positive costruisce fedeltà e advocacy più forti di qualsiasi incentivo materiale.
L’esperienza emotiva, infatti, crea ricordo: le persone dimenticano facilmente le informazioni, ma difficilmente dimenticano come un’esperienza le ha fatte sentire.
FEEL e Employer Branding: dall’immagine alla relazione
Traslato nel mondo del lavoro, il modulo FEEL è ciò che distingue un Employer Brand “corretto” da uno vivo.
Le emozioni si attivano in ogni fase della candidate journey e della employee experience: quando una persona guarda un video aziendale, partecipa a un colloquio, riceve un feedback, entra nel nuovo ufficio, celebra un risultato.
In tutte queste situazioni, l’azienda può scegliere se limitarsi a informare o coinvolgere emotivamente. E questo coinvolgimento nasce da alcuni elementi chiave:
- Autenticità narrativa: raccontare storie vere, con persone vere, senza filtri eccessivi o linguaggi artificiosi;
- Empatia comunicativa: parlare di lavoro in modo umano, riconoscendo paure, ambizioni, dubbi e aspirazioni;
- Cultura che si sente, non si dichiara: la fiducia nasce quando le parole trovano riscontro nei comportamenti.
Dalle emozioni alla motivazione
Nella teoria di Schmitt, le emozioni non sono fini a sé stesse: servono a motivare l’azione.
Un candidato che si emoziona per una storia aziendale sarà più propenso a candidarsi; un dipendente che prova orgoglio sarà più disposto a condividere i successi del team.
L’esperienza FEEL genera quindi una spinta comportamentale, che nel tempo alimenta il ciclo virtuoso dell’Employee Advocacy.
Come progettare l’esperienza FEEL
Nel concreto, un Employer Brand orientato al FEEL può agire su diversi fronti:
- Visual e storytelling emozionale: campagne che mostrano il lato umano del lavoro, i volti e le storie che incarnano la cultura aziendale;
- Esperienze interne coinvolgenti: momenti di riconoscimento, rituali collettivi, eventi che celebrano successi o transizioni (onboarding, anniversari, nuove sedi);
- Feedback e ascolto autentico: far sentire le persone parte di un dialogo, non di una struttura.
L’esperienza emotiva non si ferma al momento dell’assunzione. Programmi di riconoscimento, feedback costruttivo, momenti di ascolto reale e leadership empatica mantengono viva la connessione affettiva. Un dipendente che continua a “sentirsi bene” dentro l’azienda diventa naturalmente ambasciatore dell’organizzazione.
3. THINK – L’esperienza cognitiva del brand
Nel modello di Schmitt, il modulo THINK rappresenta la dimensione cognitiva e creativa dell’esperienza.
Se SENSE parla ai sensi e FEEL alle emozioni, THINK parla alla mente: mira a stimolare la curiosità, la riflessione e il coinvolgimento intellettuale. In altre parole, fa pensare.
Schmitt descrive il modulo THINK come l’insieme di esperienze che “coinvolgono le persone a livello di problem solving e creatività, portandole a reinterpretare la realtà o a vedere le cose in modo nuovo”.
THINK e Employer Branding
Nel contesto dell’Employer Branding, il THINK è la dimensione che trasforma il brand da “luogo dove lavorare” a spazio dove crescere e pensare. Un Employer Brand che attiva il THINK mostra cosa si può imparare, innovare, costruire.
Dalla complessità alla curiosità
Secondo Schmitt, le esperienze THINK si fondano sulla discontinuità cognitiva: qualcosa che sorprende, che rompe uno schema, che induce a riflettere.
Nel mondo del lavoro, questo si traduce nella capacità di raccontare le proprie sfide con trasparenza e intelligenza, non banalizzandole.
Un racconto onesto della complessità aziendale – i progetti, le tecnologie, le scelte strategiche – stimola il rispetto e la curiosità di chi osserva.
Per un candidato o un dipendente, l’interesse nasce non tanto dal “posto”, quanto dal potenziale di scoperta che quell’ambiente offre.
Le persone sono attratte dalle organizzazioni che le fanno pensare, non solo a quelle che le fanno sognare.
Come si costruisce un’esperienza THINK
Un Employer Brand che parla alla mente può agire su diversi piani:
- Contenuti che valorizzano la conoscenza: articoli tecnici, interviste a esperti interni, webinar o podcast;
- Narrazione della sfida: raccontare la complessità dei progetti e dei processi di innovazione;
- Opportunità di crescita e formazione: evidenziare investimenti in academy, mentorship e percorsi di apprendimento;
- Spazi di confronto: hackathon, innovation day, community professionali.
THINK assume un ruolo decisivo anche per chi è già parte dell’organizzazione. Offrire occasioni di apprendimento continuo, mentorship, momenti di confronto e spazi di innovazione permette ai collaboratori di alimentare curiosità e crescita mentale. Un Employer Brand che fa pensare non solo attrae talenti, ma li trattiene.
4. ACT – L’esperienza comportamentale del brand
Nel modello esperienziale di Schmitt, ACT riguarda la dimensione comportamentale e fisica dell’esperienza.
Se SENSE coinvolge i sensi, FEEL le emozioni e THINK la mente, ACT coinvolge il corpo e l’azione: spinge le persone a compiere gesti, adottare stili di vita o comportamenti coerenti con i valori del brand.
Schmitt sostiene che un brand diventa realmente parte della vita delle persone solo quando si traduce in azione, quando ispira nuovi modi di comportarsi o di relazionarsi con l’ambiente.
Nel marketing, questo si manifesta, ad esempio, in brand che invitano a “vivere” un certo stile, come Nike con Just Do It o Patagonia con il suo impegno per la sostenibilità.
Nel mondo del lavoro, questa idea si trasforma in una domanda cruciale: come le persone vivono, concretamente, i valori dell’azienda ogni giorno?
ACT e Employer Branding: la cultura che si fa comportamento
Nel contesto dell’Employer Branding, ACT rappresenta il passaggio dall’identità dichiarata alla cultura praticata.
Non si tratta più solo di raccontare in cosa l’azienda crede, ma di mostrare come quelle convinzioni si esprimono nei comportamenti collettivi e individuali.
Perché la cultura aziendale non vive nei valori appesi al muro, ma nei gesti quotidiani: nel modo in cui si dà feedback, si accoglie un nuovo collega, si affrontano gli errori, si celebra un successo.
È attraverso questi atti che un brand si radica nelle persone e diventa credibile.
Un Employer Brand coerente non si riconosce da ciò che dice, ma da ciò che le persone fanno quando nessuno le guarda.
Come progettare l’esperienza ACT
Progettare esperienze ACT significa creare contesti e pratiche che incoraggiano comportamenti coerenti con la cultura e l’identità aziendale:
- Iniziative e programmi interni: volontariato aziendale, giornate dedicate alla sostenibilità, hackathon o sfide creative;
- Rituali e gesti condivisi: onboarding accoglienti, celebrazioni dei risultati, pratiche di riconoscimento;
- Leadership comportamentale: manager che incarnano i valori attraverso il proprio esempio;
- Esperienze digitali e fisiche coerenti: modalità di lavoro flessibili e spazi che favoriscono movimento, confronto e autonomia.
Nel modello esperienziale, ACT è il naturale sviluppo del modulo THINK: dopo aver stimolato la mente, l’esperienza si traduce in gesto. Il coinvolgimento diventa partecipazione, e la consapevolezza diventa comportamento.
Nella vita aziendale quotidiana, ACT si traduce in comportamenti osservabili che incarnano i valori organizzativi. Coinvolgere i dipendenti nella co-creazione di iniziative, progetti di sostenibilità o innovazione interna rafforza la coerenza tra valori e azioni, rendendo ogni persona parte attiva della cultura.
5. RELATE – L’esperienza relazionale del brand
Nel modello di Schmitt, RELATE rappresenta il livello più ampio e maturo dell’esperienza: quello sociale e collettivo.
Dopo aver coinvolto i sensi (SENSE), le emozioni (FEEL), la mente (THINK) e l’azione (ACT), il brand completa il suo percorso esperienziale costruendo connessioni tra le persone.
RELATE e Employer Branding
In azienda, RELATE è ciò che fa percepire il “noi”.
È ciò che trasforma un insieme di professionisti in una comunità e un datore di lavoro in una organizzazione capace di generare legami che vanno oltre il contratto.
Secondo Schmitt, il RELATE si fonda su tre dinamiche fondamentali:
- Identificazione: il sentirsi parte di un gruppo, di una storia, di un progetto comune;
- Connessione: il riconoscersi negli altri, nel loro modo di pensare e di agire;
- Risonanza valoriale: il percepire che le proprie convinzioni trovano eco nella cultura collettiva del brand.
In chiave Employer Branding, queste dinamiche sono decisive: le persone non cercano solo un’azienda in cui lavorare, ma una comunità professionale e valoriale con cui condividere significato.
Costruire relazioni che diventano reputazione
Un Employer Brand che attiva il modulo RELATE è capace di:
- Coltivare comunità interne: team coesi, network di ambassador, gruppi di interesse o iniziative cross-funzionali;
- Dare voce alle persone: programmi di employee advocacy che trasformano i collaboratori in narratori autentici della cultura aziendale;
- Creare continuità con gli alumni: mantenere legami con chi ha lasciato l’azienda, rafforzando la reputazione come luogo in cui vale la pena tornare o continuare a collaborare;
- Favorire connessioni sociali autentiche: eventi, iniziative e momenti di condivisione che alimentano reciprocità e appartenenza.
In tutte queste azioni, la relazione non è uno strumento di comunicazione, ma il risultato di un vissuto comune.
È l’esperienza RELATE che trasforma la cultura aziendale in una rete viva, dove ogni persona sente di contribuire a qualcosa di più grande di sé.
RELATE come sintesi dell’esperienza
Nel pensiero di Schmitt, RELATE non è solo il punto d’arrivo del modello, ma anche la sintesi degli altri moduli.
I sensi (SENSE), le emozioni (FEEL), il pensiero (THINK) e l’azione (ACT) diventano davvero potenti solo quando vengono condivisi: quando l’esperienza individuale si intreccia con quella degli altri.
Nel lavoro, questo accade ogni volta che un valore vissuto diventa linguaggio comune, che un gesto individuale viene riconosciuto e replicato, che una storia personale diventa racconto collettivo.
È così che l’esperienza di marca diventa cultura condivisa, visibile anche all’esterno.
L’Employer Branding più forte non nasce dalla voce dell’azienda, ma da quella delle sue persone, perché le comunità non si costruiscono con le parole, ma con esperienze che uniscono.
Dal “lavorare per” al “far parte di”
Quando una organizzazione riesce a generare esperienze RELATE, cambia la prospettiva stessa del lavoro.
Non si tratta più solo di “lavorare per un’azienda”, ma di far parte di un sistema di valori e relazioni che dà senso al lavoro.
È la differenza tra un datore di lavoro e una comunità professionale di riferimento.
E questa, nel lungo periodo, è la forma più solida di reputazione: quella che non si costruisce con le campagne, ma con la coerenza quotidiana dei legami umani.
RELATE è ciò che dà continuità all’esperienza lavorativa interna. Le relazioni tra colleghi, manager e team cross-funzionali costituiscono il vero capitale relazionale dell’azienda.Le community interne, i programmi di mentoring, gli alumni network e gli spazi di dialogo aperto rafforzano il senso di appartenenza e trasformano l’organizzazione in una rete di legami autentici.
Dall’esperienza alla cultura: l’eredità di Schmitt nell’Employer Branding
Integrare i cinque moduli esperienziali di Schmitt nell’Employer Branding significa ripensare il modo stesso in cui le aziende si raccontano e si vivono.
Non più distinzione tra comunicazione interna ed esterna, tra messaggio HR e immagine di marca, ma un’unica esperienza coerente che prende forma in ogni interazione.
Ogni modulo – SENSE, FEEL, THINK, ACT, RELATE – rappresenta una parte dell’esperienza umana, e insieme una leva di cultura organizzativa:
- SENSE dà identità percettiva al brand | organizzazione, ciò che si vede e si riconosce;
- FEEL costruisce il legame emotivo che trasforma la fiducia in relazione;
- THINK stimola un modo di pensare e crescere condiviso;
- ACT traduce i valori in comportamenti visibili e quotidiani;
- RELATE unisce tutto questo in appartenenza, in un “noi” che dà senso e continuità al lavoro.
Queste dimensioni non vivono isolate, ma si rafforzano reciprocamente: dalla percezione nasce l’emozione, dall’emozione il pensiero, dal pensiero l’azione, e dall’azione la relazione. È un ciclo esperienziale che, se coerente, diventa cultura.
In questa prospettiva, l’Employer Branding non è un insieme di campagne, ma un ecosistema di esperienze coerenti – fisiche, digitali, emotive e sociali – che rendono visibile la cultura aziendale a chi la osserva e tangibile a chi la vive.
Come nel marketing esperienziale, anche nel lavoro la promessa di marca si misura nella qualità dell’esperienza vissuta.
Un Employer Brand coerente non “racconta” i suoi valori: li fa percepire, li fa vivere, li fa pensare, li fa agire e li fa condividere.
In definitiva, il valore di un’azienda come datore di lavoro non risiede solo in ciò che offre, ma in come fa sentire, crescere e connettere le persone che la scelgono.
È qui che la teoria di Schmitt trova la sua piena attualità: nell’idea che ogni relazione con un brand – anche quella lavorativa – è, prima di tutto, un’esperienza umana.









